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vivente; e perciò quali determinazioni a credere, o sia quali credenze, sieno atte a produrre la sua felicità.

Io dunque dico che queste credenze determinanti l’uomo bene (cioè non altro che convenientemente alla sua propria e particolare essenza), e perciò conducenti  (439) alla felicità, sono, come negli altri animali, le credenze ingenite, primitive, e naturali.

In questo modo io sostengo che Adamo ebbe non una scienza propriamente, ma delle credenze infuse: non la cognizione del vero, indifferente per lui, ma delle opinioni credute veramente vere da lui, opinioni di credere il vero (senza di che non v’é credenza), e opinioni veramente convenienti alla sua natura e alla sua felicità e quindi conducenti alla perfezione. E Adamo ne dovette avere necessariamente, come gli altri animali, perché senza credenze non c’é vita per quegli esseri che dipendono nell’operare dalla determinazione della propria volontà, come ho dimostrato.


*   Queste credenze ingenite, primitive e naturali non sono altro se non quello che si chiama istinto, idee innate ec. Gli animali ne hanno: non si contrasta: ma non perciò non son liberi: se non fossero liberi, sarebbero macchine pure: l’istinto non è altro che quello che ho detto, cioè credenze ingenite. Queste non tolgono la libertà, perché non fanno altro che determinare la volontà e non già forzare macchinalmente gli organi: nello stesso modo  (440) che una credenza qualunque o ingenita o acquistata non toglie la libertà o la scelta all’uomo. Che il ragionamento necessario per iscegliere sia determinato da principii naturali ed innati o da principii acquistati colla cognizione, da principii veri, o da principii falsi ma creduti naturalmente veri; questo è indifferente alla libertà, com’é indifferente alla felicità relativa che ne dipende, il vero o il falso assoluto. E il ragio-