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(437-438) | pensieri | 469 |
servarsi, eccetto le azioni che chiamano hominis, se ce ne ha veramente) e per conseguenza non può vivere senza un atto elettivo e definito della sua volontà, ha bisogno di credenze, cioè deve credere che le cose siano buone o cattive e che quella tal cosa sia buona o cattiva, altrimenti la sua volontà non avrà motivo per determinarsi ad abbracciarla o fuggirla, per decidersi a fare o non fare, all’affermativo o al negativo. E l’uomo e l’animale in questa indifferenza diverrebbe necessariamente come quell’asino delle scuole, di cui vedi p. 381. Le piante e i sassi che non si muovono da se, né dipendono da se nell’azione e nella vita, non hanno bisogno di credenze, ma l’animale che dipende da se nell’azione e nella vita ha bisogno di credere, giacché non c’é altro motivo (438) né mobile, né altra forza, eccetto l’estrinseche, che lo possa determinare, e definirne la scelta. Qualunque essere non è macchina, ha bisogno di credenze per vivere. Dunque anche gli animali, se non sono purissime macchine: dunque hanno anch’essi il principio di ragionamento, senza cui non v’é credenza, perché il credere non è altro che tirare una conseguenza.
Ma io dico credenze, non cognizioni. L’oggetto della cognizione è la verità; l’oggetto della credenza è una proposizione credibile, e dico credibile relativamente in tutto e per tutto alle qualità generali o individuali, essenziali o accidentali dell’essere che crede, perché una cosa può esser credibile a una specie o genere e non ad un’altra; a un individuo di quella specie o genere, e non ad un altro; a questo medesimo individuo oggi, e non domani.
La verità dunque non entra in questo discorso, ma solo bisogna sapere quali determinazioni a credere siano atte a produrre una determinazione ad operare, vantaggiosa (e questo veramente) all’essere pensante e