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454 | pensieri | (412-413-414) |
duce quello stesso stato, anzi lo cambia. E cosí avvenne del cristianesimo rispetto al paganesimo in Roma. Perché l’uomo credendo (413) (non dico conoscendo, ma credendo) diversamente, opera diversamente. Quindi resta giustificata, anzi lodata la gelosia che gli antichi politici greci e romani manifestarono sempre per le loro antiche credenze, colle quali doveva mancare e mancò il loro stato.
10°. Dal sopraddetto segue che il cristianesimo non prova che la verità assoluta non sia indifferente per l’uomo, non prova che la felicità dell’uomo consista nel conoscere. Col prevaler della ragione e del sapere l’uomo non potendo piú credere quello che credeva naturalmente, bisognava ch’egli tornasse a crederlo mediante questa medesima ragione e questo sapere che non si poteva piú estinguere. La cognizione del vero gli era dunque necessaria, non come indirizzata al vero, ma come solo fonte di quella credenza che gli bisognava per riacquistare quella felicità che la stessa cognizione gli avea tolta. Verità o errore, bastava ed importava solamente che l’uomo credesse quelle cose, senza le quali non poteva esser felice. Ma l’errore l’avrebbe potuto credere stabilmente nello stato naturale; nello stato di ragione, non poteva credere stabilmente altro che il vero. Bisognava dunque ch’egli trovasse verità reali in quelle opinioni e in (414) quei giudizi che formano e servono di base alla vita umana. Ma queste opinioni e giudizi non poteva trovarli realmente veri, se non supposta una religione, e una religion vera, cioè universalmente e stabilmente credibile. Ecco dunque come la ragione non poteva condurre alla felicità senza la rivelazione. La verità non era necessaria all’uomo in quanto verità, ma in quanto stabile credibilità. Ora la verità sola è stabilmente credibile nello stato di ragione e di sapere. E l’uomo senza credenza stabile non ha stabile motivo di determinarsi, quindi di agire, quindi di vivere.