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422 pensieri (367-368)

amare e beneficare ec. ec., tutte queste cose che si presentano in folla alla vostra mente vi cagionano una confusione, un imbarazzo, uno stupore tale, che voi, in luogo di considerare ciascuna parte della cosa, non ne considerate nessuna, non siete capace di valutare né l’estensione né la profondità né la natura della cosa, né di formarvene un concetto preciso, e restandovi solamente l’idea in genere e confusamente non siete capace di pensarvi, né vi pensate formalmente, non dirò perché non vogliate pensarvi, ma perché non sapete pensarvi. E quindi accade quella cosa osservatissima che le grandi mutazioni, sieno disgrazie, sieno fortune, al primo momento istupidiscono, e non è se non col tempo, che voi, considerandone ciascuna parte, ne cominciate a piangere o rallegrarvene separatamente. Giacché questo pure è notabile che l’atto del piangere o rallegrarsi ec., insomma l’espressione τοῦ πάθους cade sempre sopra una parte della cosa, non già sul tutto, perché l’anima non è capace di abbracciar questo tutto in uno stesso tempo. Per esempio, nel (368) caso detto di sopra, voi comincerete a piangere per una determinata rimembranza, per una tal riflessione sopra il futuro o il presente e per simili cose, che non potete ravvisare e separare e concepire nel primo momento, né durante la prima impressione. Ma finattanto che l’idea o la cosa vi si presenterà tutta intera, e voi non potrete distinguerne e noverarne le parti, voi non piangerete mai né sarete commosso determinatamente, ma solo confusamente. E neanche dopo lungo tempo voi non piangerete mai per la considerazione totale e generale della disgrazia intera (1 dicembre 1820).


*   Si suol dire che la monotonía fa parere i giorni piú lunghi. Cosí è quanto alle parti del tempo considerate separatamente. Ma quanto al complesso è tutto l’opposto, perché un giorno pieno di varietà, termi-