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416 | pensieri | (359-360) |
* Alla p. 347. Questa pure è una cagione della gran differenza che passa fra i letterati e gl’illetterati e anche fra i letterati di professione e i letterati di semplice genio, ornamento, divertimento ec. nel gustare gli scritti anche i piú popolari e adattati all’intelligenza e al diletto di chicchessia.
* L’eloquenza, massimamente giudiziaria, ma anche d’ogni altro genere, consiste in gran parte nell’appianare le scabrosità, riempiere i vòti e le valli, agguagliare la superficie e raddrizzare le storture delle cose. E però succede bene spesso che ascoltando o leggendo un pezzo eloquente tu sei persuaso di una cosa, della quale da te stesso non ti saresti mai persuaso e della quale dubiterai forse nel seguito o la condannerai; credi fattibile e facile una cosa, che ti pareva e tornerà a parerti impossibile (360) o difficile; ti svaniscono quelle incertezze, quelle difficoltà ec. e tu sei costretto a non vedere e dimenticare quello che vedevi, a contraddire e condannare te stesso, anzi sovente a vedere e non vedere, ricordarti e dimenticare nello stesso tempo. Tale è la proprietà, non solo dell’eloquenza che strascina, ma anche di quella secca eloquenza, fondata sopra uno stretto ragionamento e una dialettica per lo piú ingannatrice (se non quanto al tutto, almeno quanto alle parti): eloquenza della quale fra gli antichi sono modelli i cosí detti oratori attici, fra i moderni (parlo almeno degli oratori di professione) forse il solo Bourdaloue, oratore veramente e propriamente attico, il quale convince l’uomo di cose non sempre vere, se non altro, non interamente vere (27 novembre 1820).
* Non eadem omnibus esse honesta atque turpia, sed omnia maiorum institutis iudicari. Cornelio Nepote, Praef.
* Alla p. 329, fine. Nulla Lacedaemoni tam est nobilis vidua quæ non ad scenam eat mercede conducta.