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396 | pensieri | (331-332-333) |
rovina di Roma vincitrice del mondo, soggiunge ch’é un fatto degno della piú seria considerazione che tutti gl’imperi, la cui storia è da noi conosciuta e che erano stati consolidati dal tempo e dalla prudenza, si videro rovesciati dai sofisti. Nel capo secondo si estende maggiormente in provare che la filosofia fu la distruttrice di Roma, e conviene con Montesquieu il quale non teme di attribuire la caduta di quest’impero alla filosofia di Epicuro, aggiungendo in nota che Bolinghbroke pensa in questo punto assolutamente come Montesquieu: «L’obblio ed il disprezzo della religione furono la cagione principale dei mali che (332) provò Roma in seguito: la religione e lo stato decaddero nella medesima proporzione»". T. IV. p. 428). Colla differenza che, laddove gli apologisti della religione ne deducono che gli stati sono stabiliti e conservati dalla verità e distrutti dall’errore, io dico che sono stabiliti e conservati dall’errore e distrutti dalla verità. La verità non si è mai trovata nel principio, ma nel fine di tutte le cose umane; e il tempo e l’esperienza non sono mai stati distruttori del vero e introduttori del falso, ma distruttori del falso e insegnatori del vero. E chi considera le cose al rovescio, va contro la conosciuta natura delle cose umane. Questo è il controsenso fondamentale in cui è caduto l’autore sopracitato. Egli avrebbe difesa molto meglio la religione se l’avesse difesa non come dettame dell’intelligenza, ma come dettame del cuore; e quando egli dice che dunque l’esistenza e la felicità, la perfezione e la vita dell’uomo sarebbero contro natura, perché la natura è il complesso delle perpetue verità, s’inganna, perché la natura è il complesso delle verità, in tal modo, che tutto quello ch’esiste sia vero, ma non tutto quello ch’é vero sia conosciuto da ciascuna delle di lei parti. Ed una di queste verità che son comprese (333) nel sistema della natura è che l’errore e l’ignoranza è necessaria alla felicità delle cose, perché l’ignoranza e l’errore è vo-