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(317-318) pensieri 387

mento che lo faceva parlare. Vexatur Theophrastus et libris et scholis omnium philosophorum, quod in Callisthene suo laudavit illam sententiam: Vitam regit fortuna non sapientia. Cicerone, Tuscul., 3 et 5 (vedilo perché contiene qualche altra cosa). Quod maxime efficit Theophrasti de beata vita liber, in quo multum admodum fortunae datur. Id. de Finibus l. 4. Neanche ha ottenuto dai moderni quella stima che meritava, essendo smarrite quasi tutte le sue moltissime opere, né restando altro che alcune fisiche, eccetto i Caratteri; e io credo di essere il primo a notare che Teofrasto essendo filosofo e maestro di scuola (e scuola eccessivamente numerosa), anteriore oltracciò ad Epicuro, e certamente non epicureo né per vita né per massime, si accostò forse piú di qualunque altro alla cognizione di quelle triste verità che solamente gli ultimi secoli hanno veramente distinte e poste in chiaro, e della falsità di quelle illusioni che solamente a’ dí nostri hanno perduto il loro splendore e vigor naturale. Ma cosí anche si vede che Teofrasto, conoscendo le illusioni, non però (318) le fuggiva o le proscriveva, come i nostri pazzi filosofi, ma le cercava e le amava, anzi si faceva biasimare dagli altri antichi filosofi, appunto perché onorava le illusioni molto piú di loro. Itaque miror quid in mentem [venerit] Theophrasto in eo libro quem De divitiis scripsit: in quo multa praeclare, illud absurde. Est enim multus in laudanda magnificentia et apparatione popularium munerum, taliumque sumtuum facultatem, fructum divitiarum putat. Cicerone, De offic.


*   Cosí si vede che appunto chi conosce e sente piú profondamente e dolorosamente la vanità delle illusioni, le onora e desidera e predica piú di tutti gli altri, come Rousseau, la Staël ec.


*   Che se Teofrasto vicino a morte le abbandonò e quasi le rinegò come Bruto, questo stesso è una prova