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376 pensieri (300-301)

zione, avarizia o altre mire di propria utilità, non si sacrifica veramente al principe ma a se stesso, e tanto quanto lo crede utile a se stesso, e in caso diverso abbandona la sua causa. Ma l’amor di parte conduce a sacrificarsi furiosamente, e senza riserva né condizione né ritegno né calcolo veruno, all’oggetto di questo amore; e cosí la passione primieramente è piú forte della ragione e dell’interesse e conduce ad affrontare molto maggiori ostacoli e pericoli; in secondo luogo non è soggetta a cambiar di strada secondo le circostanze, come l’interesse che da una causa porta a difenderne un’altra, secondo che meglio torna. I principi dunque, non potendo esser favoriti dai sudditi per altra passione che per la sopraddetta, e l’interesse non essendo né cosí forte, né molto meno cosí costante, la ragione poi essendo inoperosissima (giacché vediamo tutto giorno che quella parte (301) dei sudditi la quale ama o favorisce il suo governo per mera persuasione, come anche quella che lo odia nello stesso modo, è la parte piú immobile e piú passiva del popolo), debbono fomentare l’amor di parte. E siccome questo non è attivo, anzi non esiste se non v’é parte contraria, perciò, quantunque sembri un paradosso, si può affermare che giova al principe il dar luogo a una fazione contraria alla sua, quando esista la favorevole e sia piú forte com’é il piú naturale e ordinario. Questa fu la pratica dei romani, la quale riuscí loro cosí bene come nessuno ignora. E i realisti di Francia e le provincie o città realiste non sarebbero cosí ardenti sostenitori del re, se non avessero lo spirito di parte e se non esistesse un partito contrario considerabile, il quale non è piú forte, ma se fosse, l’affare sarebbe fuor del caso. E cento altri esempi e prove simili può fornire la storia antica e moderna e presente. Quello dunque che ho detto p.113 de’ conquistatori, si può estendere a tutti i principi e governi (27 ottobre 1820), massime monarchici, oligarchici, aristocratici ec.; perché nelle