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(291-292-293) pensieri 371

grato di quello del sonno, perché succede a molto maggior travaglio. Il qual sonno, come ho detto, non è mai penoso, quando anche sia cagionato da pene, anche da angoscie vive, come da febbre ardente ec. Io bene spesso trovandomi in gravi travagli o corporali o morali, ho desiderato non solamente il riposo, ma la mia anima senza sforzo, e senza eroismo, si compiaceva (292) naturalmente nell’idea di un’insensibilità illimitata e perpetua, di un riposo, di una continua inazione dell’anima e del corpo; la qual cosa desiderata in quei momenti dalla mia natura mi era nominata dalla ragione col nome espresso di morte, né mi spaventava punto. E moltissimi malati, non eroi, né coraggiosi, anzi timidissimi, hanno desiderato e desiderano la morte in mezzo ai grandi dolori e sentono un riposo in quell’idea; il quale sarebbe molto maggiore, se l’idea della morte non fosse accompagnata dai timori del futuro e da cento altre cose estranee e d’altro genere. Del resto il riposo ch’io desiderava allora mi piaceva piú che dovesse esser perpetuo, acciò non avessi dovuto ripigliare, svegliandomi, gli stessi travagli de’ quali era cosí stanco.


*   Se la morte e il sonno siano un punto o uno spazio, non si ricerca riguardo a quei momenti nei quali l’uomo conserva ancora una cognizione di se, che va scemando a poco a poco, giacché questo non si dubita che non sia uno spazio progressivo, ma riguardo al tempo non sensibile, né conoscibile, né ricordabile. Il quale pare che debba essere istantaneo, giacché il passaggio dal conoscere al non conoscere,  (293) dall’essere al non essere, dalla cosa quantunque menoma al nulla, non ammette gradazione, ma si fa necessariamente per salto, e istantaneamente (21 ottobre 1820).


*   Ho detto altrove (p. 55): domandate piacere ad uno, che non vi si possa fare senza incorrere nell’odio