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326 pensieri (227-228)

famose, non capiscono il perché, a motivo che non si sentono trasportare e non s’immedesimano in verun modo collo scrittore, e questo quando anche siano di buon gusto e giudizio; cosí vi sono molte ore, giorni, mesi, stagioni, anni, in cui le stesse persone di entusiasmo ec. non sono atte a sentire e ad essere trasportate e però a giudicare rettamente di tali scritture. Ed avverrà spesso per questa ragione, che un uomo, per altro capacissimo giudice di bella letteratura e d’arti liberali, concepisca diversissimo giudizio di due opere egualmente pregevoli. Io l’ho provato spesse volte. Mettendomi a leggere coll’animo disposto, trovava tutto gustoso, ogni bellezza mi risaltava all’occhio, tutto mi riscaldava e mi riempieva d’entusiasmo, e lo scrittore da quel momento mi diventava ammirabile ed io continuava sempre ad averlo in gran concetto. In questa tal disposizione forse il giudizio può anche peccare, attribuendo al libro ec. quel merito che in gran parte spetta al lettore. Altre volte mi poneva a leggere coll’animo freddissimo, e le piú belle, piú tenere, piú profonde cose non erano capaci di commuovermi: per giudicare non mi restava altro (228) che il gusto e il tatto già formato: ma il mio giudizio si ristringeva cosí alle cose esterne e nelle interne a una congettura dell’effetto che l’opera potesse produrre in altrui. E l’opera non mi restava per conseguenza in grande ammirazione. E noterò ancora che alle volte un’altra persona che si trovava in circostanza da esser commosso mi diceva mari e monti di quel libro, ch’egli leggeva nel medesimo tempo. Questa considerazione deve servire: 1°, a spiegare la diversità dei giudizi in persone ugualmente capaci, diversità che s’attribuisce sempre a tutt’altro; 2°, a non fidarsi troppo dei giudizi anche dei piú competenti e di se stesso ed introdurre un pirronismo necessario anche in questa parte. Il pubblico e il tempo non vanno soggetti nei loro giudizi a questo inconveniente (25 agosto 1820).