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200 | pensieri | (90-91) |
per quel punto. E in fine può anche derivare, e penso che almeno in parte derivi, dallo stesso timore che abbiamo di quel pensiero, per la ragione che in tutte le cose fisiche e morali il voler troppo intensamente e il timore di non conseguire distorna le nostre azioni dal loro fine, e il mettersi ad un’operazione di mano, per esempio, chirurgica, con troppa intenzion d’animo e timore di non riuscire, la manda a male, e nelle lettere o belle arti il cercar la semplicità con troppa cura e paura di non trovarla la fa perdere ec.
* L’orrore e il timore della fatalità e del destino si prova piú, anche oggidí che la superstizione è quasi bandita dal mondo, nelle anime forti e grandi che nelle mediocri, per cagione che i desideri e i fini di quelle sono fissi, e ch’elle li seguono con ardore, con costanza e risoluzione invariabile. Cosí era piú ordinariamente presso gli antichi, appo i quali la fermezza e la costanza e la forza e la magnanimità erano virtú molto piú ordinarie che fra i moderni. E vedendo essi che spesse volte, anzi frequentissimamente, i casi della vita si oppongono ai desideri dell’uomo, erano compresi da terrore per la ragione della loro immobilità nel desiderare o nel dirigere le loro azioni a quel tale scopo che forse e probabilmente non avrebbero (91) potuto conseguire. Infatti nella infinita varietà dei casi è molto piú improbabile che segua precisamente quello a cui tu miri invariabilmente, che gl’infiniti altri possibili. Ora, accadendone piuttosto un altro non è effetto di destino fisso che ti perseguiti, ma di cieco accidente. Essi tuttavia, com’è naturale, come per un’illusione ottica o meccanica confondevano, e gli animi forti ed ardenti tuttora confondono, l’immobilità loro propria con quella degli avvenimenti; e perché non erano spiriti da secondarli e adattarvisi, immaginavano che l’immobilità stesse non in se, ma nei medesimi avvenimenti già stabiliti