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(15-16) | pensieri | 95 |
mantici, che la poesia moderna sia fondata sull’ideale che egli chiama patetico e piú comunemente si dice sentimentale, e distingue con ragione il patetico dal malinconico, essendo il patetico, com’egli dice, quella profondità di sentimento che si prova dai cuori sensitivi, col mezzo dell’impressione che fa sui sensi qualche cosa della natura, per esempio la campana del luogo natío, cosí dic’egli; e io aggiungo la vista di una campagna, di una torre diroccata ec. ec. Questa è insomma la differenza che egli vuol che sia tra la poesia moderna e l’antica, ché gli antichi non provavano questi sentimenti, o molto meno di noi; onde noi secondo lui siamo in questo superiori agli antichi, e siccome in questo secondo lui consiste veramente la poesia, però noi siamo piú poeti infinitamente che gli antichi (e questa è la poesia dello Chateaubriand, del Delille, del Saint-Pierre ec. ec., per non parlare dei romantici, che forse anche in qualche cosa differiscono, ec. E questo patetico è quello che i francesi chiamano sensibilité e noi potremmo chiamare sensitività). Or dunque bisogna eccitare questo patetico, questa profondità di sentimento nei cuori: e qui, com’è naturale, consisterà la somma arte del poeta. E qui è dove il Breme e tutti quanti i romantici e i chateaubriandisti ec. ec. scappano di strada. Che cosa è che eccita questi sentimenti negli uomini? La natura, purissima, tal qual è, tal quale la vedevano gli antichi: le circostanze, naturali, non procurate mica a bella posta, ma venute spontaneamente; quell’albero, quell’uccello, quel canto, quell’edifizio, quella selva, quel monte, (16) tutto da per se, senz’artifizio, e senza che questo monte sappia in nessunissimo modo di dover eccitare questi sentimenti, né ch’altri ci aggiunga perché li possa eccitare, nessun’arte ec. ec. In somma questi oggetti, insomma la natura da per se e per propria forza insita in lei, e non tolta in prestito da nessuna cosa, sveglia questi sentimenti. Ora che faceano gli antichi? dipingevano