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(5-6) | pensieri | 81 |
tichi, senza conoscere né amare i vizi delle arti, per la naturale tendenza dell’ingegno alla ricercatezza e cose tali, di quando in quando vi cadeano non riflettendo che fossero vizi, e non per tanto infinitamente differivano dagli adulti artefici del seicento e settecento radicati nella corruzione. E adesso chiunque, per pochissimo che abbia studiato, a prima giunta vede che quelli sono errori e che gli antichi hanno errato. Per esempio chi non vede adesso che è cosa ridicola e affettatissima il lamento d’Olimpia ec. nell’Ariosto, quello d’Erminia ec. nel Tasso? E pure questi grandissimi poeti, perché l’arte era giovane e senza esperienza, in buona fede cascavano in questi errori, e noi perché siamo vecchi nell’arte, col nostro senno e coll’esperienza de’ tempi corrotti, ce ne ridiamo e li fuggiamo. Ma questo senno e questa esperienza sono la morte della poesia ec. Come però si dovrà dire che l’Ariosto per esempio avesse somma arte se cadeva spessissimo in difetti che il piú meschino artefice d’oggidí conosce a prima vista? Non avea somma arte ma sommo ingegno, pulitissimo, ma non corrotto, e meno poi ripulito.
* Per guardarci dai vizi e dalla corruzione dello scrivere adesso è necessario un infinito studio e una grandissima imitazione dei classici, molto molto maggiore di quella che agli antichi non bisognava, senza le quali cose non si può essere insigne scrittore, e colle quali non si può diventar grande come i grandi imitati. Come il cocchiere fa guidando i cavalli per la china, che poco concede loro, perché troppo non gli rapiscano.
* Padron, se con lamenti e con rammarichi
Si rimediasse a le nostre miserie,
Bisognerebbe comperar le lagrime
A peso d’or: ma queste tanto possono
Le disgrazie scemar, quanto le prefiche
Svegliare i morti con le loro istorie.
Ne’ guai non ci vuol pianto ma consiglio. (6)