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E vede ognun che, rispondendo poi
     A quel che precedè quel che succede,
     Dagli Eroi non verranno altri che Eroi.


X1


Non più, Nice, qual pria, da quel momento
     Ch’io ti vidi, e t’amai, penso e ragiono:
     Già sprezzator d’ogni grandezza, or sento
     Ch’odio il destin, perchè negommi un trono.
5Per cento (il so) serve provincie e cento
     Miglior non diverrei di quel che or sono;
     Ma un impero io potrei (che bel contento!)
     Offrirti allor, cara mia Fiamma, in dono.
Ah del mio cuore almen, del mio pensiero
     10L’impero accetta, e non mirar, ch’ei sia
     Troppo scarso per te povero impero;
Che se fosse real la sorte mia,
     Avresti allor più vasto regno, è vero:
     Ma più tuo, ma più fido ei non sarìa.


XI2


Quando d’avverso Ciel stimai rigore,
     Che un trono abbian negato a me gli Dei,
     Bella cagion de’ dolci affetti miei,
     Fu deliro amoroso, e n’ho rossore.
5Che reso oggetto allor del tuo favore,
     D’un regno io domator creder potrei,
     Qual son io ripensando, e qual tu sei,
     Gratitudine in te ma non amore.
No, dello stato mio, Dei, non mi sdegno;
     10Miglior sperarlo ad un mortal non lice:
     E l’umil sorte mia n’è appunto il pegno.
Nice m’ama, io lo so, nè amar può Nice
     Altro in me che me solo. Ah che a tal segno
     Non rende un trono il possessor felice.

  1. Desiderio affettuoso.
  2. Pentimento dell’antecedente desiderio.