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316 | vittorio adami |
La marcia da Varenna a Lecco benchè accompagnata da un acquazzone, venne eseguita in ordine. A Lecco le truppe pernottarono parte nell’oratorio di Pescarenico, e parte in un palazzo privato lungo la strada da Lecco a Pescarenico. Il mattino successivo venne compiuta l’adunata sul piazzale del teatro, ma stettero tre o quatto ore fuori in attesa di ordini.
Finalmente il battaglione si rimise in marcia, seguito da un carro contenente il pane e della polvere da sparo. A Olginate la colonna sostò per la confezione del rancio, venne anche fatta la paga (tre svanziche a testa per due giorni). Dopo proseguì sino nei pressi di Calco, dove incominciarono ad incontrare dei militari che provenivano da Milano e da Monza e che recavano brutte notizie.
Alla riva di Calco appresero che Milano era capitolata — la triste notizia produsse un effetto pernicioso sulla compagine del battaglione — si ruppero le righe, ed ognuno per la via più breve ritornò al proprio paese.
A Lecco durante la notte il comitato di pubblica sicurezza si era imbarcato con un battello alla volta di Menaggio per salvarsi in Isvizzera.
Questo racconto ci è stato fatto del già nominato Domenico Arrigoni che fece parte del battaglione.
Altro racconto che abbiamo raccolto dalla bocca d’un superstite, il commendatore Mario Manfroni, uomo coltissimo, già capo gabinetto del ministro Genala. Si tratta della fuga dal Trentino del Dott. Francesco Manfroni di Monfort di Rovereto, padre del Mario, uno dei capi del Governo provvisorio del trentino insorto. Avuta notizia dei primi rovesci egli fuggì con la propria carrozza conducendo seco la moglie e quattro teneri figliuoli. Fece tappa a Vestone, Ponte San Pietro e Lecco e giunse a Fiume Latte a domandare ospitalità alla famiglia Venini, essendo egli stato a Tione medico del Giuseppe Venini proprietario della vetreria.
Il Monfroni allora decenne, racconta di aver visto passare da Fiume Latte il battaglione della leva in massa, nel quale erano uomini armati nel modo il più disparato, pochi possedevano il fucile, la maggior parte avevano badili e gravine.
Il dott. Francesco Manfroni avvenuta la sollevazione del Trentino si era recato a Valeggio per domandare al re Carlo Alberto truppe per l’occupazione della sua patria, ma ne ebbe un rifiuto, ed egli amareggiato si ascrisse al partito mazziniano. A questo proposito conviene qui accennare che Carlo Alberto non intendeva estendere il movimento al Trentino, allora appartenente alla Confederazione Germanica, per non crearsi nuovi nemici.
vazione sul lago di Como e Lecco ebbe principio a Mandello, ove sventolò, primo fra tutti i paesi, il vessillo tricolore e ciò per opera e coi consigli di quel benemerito arciprete Angelo Roncoroni».