terati sono versioni della greca Antologia; finchè siam giunti al secolo presente; in cui, dopo il Vulpes, che stampava a furia elegie ed epigrammi in Napoli, e che chiamerei il Luca fa priesto della poesia latina, tali orrendi epigrammi si pubblicano tuttodì, cara e dolce delizia de’ nostri giornalisti, da vincere l’immaginazione!
Se non che i latini scrittori epigrammatici difettano, chi per un verso, e chi per un altro. Nauseanti per nefande oscenità Catullo e Marziale: tra i moderni piacevole per ingegnosi pensierucci l’Oveno; ma eleganza e leggiadria di stile nol suffraga. Elegantissimo in eccesso l’immenso Pontano: ma si perde in ristucchevoli, perpetue descrizioni di ninfe, rose e giacinti, senza pur un nobile pensiero, senza riguardo a dignità di persone, come nell’epitaffio del vescovo Altilio; difetto avvertito fin da’ tempi suoi. Risibili per giuochetti di parole gli epigrammi del Sarbiew: la loquacità del Bucanano sente dello stile di Claudiano e d’Ausonio. In somma, è ben raro, anzi singolare trovare un libriccino antologico, come questo, il quale riunisca tutti quei pregi, che Tommaso Corea, scrittore del cinquecento nel suo libretto de epigrammate a ragione richiedea in cotali scritture. E quì avvertiremo i lettori, che molti di siffatti epigrammi furono, diremmo, improvvisati dal Vitrioli; poichè richiesto da vari con vivissime istanze a mandare il suo ritratto con qualche motto latino per fregiarne gli Album dei grandi contemporanei, come tra gli altri dalla Pignocchi e dal Dottor Giacinto Menozzi di Bologna, e dal celebre archeologo Conte Conestabile di Perugia, egli così su’ due piedi, in nostra presenza ne dettava dei bellissimi. Intanto noi, sempre conscii della nostra pochezza, ed incapaci di un giudizio inappellabile intorno ad ogni minimo componimento di colui, che il chiarissimo Cristofani chiamava «splendidissima gloria dell’Italia nostra» faremo parlare il dotto Baggiolini.