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156 | libro primo — sezione seconda |
oratore che la sapienza de’ decemviri di gran lunga superava quella di Dragone e di Solone che diedero le leggi agli ateniesi, e quella di Ligurgo che diedele agli spartani; ch’è lo stesso che la Legge delle XII Tavole non era né da Sparta né da Atene venuta in Roma. E crediamo in ciò apporci al vero: che non per altro Cicerone fece intervenire Quinto Muzio in quella sola prima giornata che — essendo al suo tempo cotal favola troppo ricevuta tra’ letterati, nata dalla boria de’ dotti di dare origini sappientissime al sapere ch’essi professavano; lo che s’intende da quelle parole che ’l medesimo Crasso dice: «Fremant omnes; dicam quod sentio», — perchè non potessero opporgli ch’un oratore parlasse della storia del diritto romano, che si appartiene saper da’ giureconsulti (essendo allora queste due professioni tra lor divise), se Crasso avesse d’intorno a ciò detto falso, Muzio ne l’avrebbe certamente ripreso; siccome, al riferir di Pomponio1, riprese Servio Sulpizio, ch’interviene in questi stessi ragionamenti, dicendogli: «Turpe esse patricio viro ius in quo versar eiur ignorare».
Ma più che Cicerone e Varrone, ci dà Polibio un invitto argomento di non credere né a Dionigi né a Livio; il quale senza contrasto seppe più di politica di questi due, e fiori da dugento anni più vicino a’ decemviri che questi duc. Egli (nel libro sesto, al numero quarto e molti appresso dell’edizione di Giacomo Gronovio2 a piè fermo si pone a contemplare la costituzione delle repubbliche libere più famose de’ tempi suoi; ed osserva la romana esser diversa da quelle d’Atene e di Sparta, e più che di Sparta esserlo da quella d’Atene, dalla quale più che da Sparta i pareggiatori del gius attico col romano vogliono esser venute le leggi per ordinarvi la libertà popolare già innanzi fondata da Bruto. Ma osserva al contrario somiglianti tra loro
- ↑ Pomp., in Dig., 1. e, § 43: «Turpe esse patricio et nobili et causas oranti ius», ecc.
- ↑ Non il cap. IV, ma il cap. VI del sesto libro (g§ 43-56) s’intitola: «Σὺγκρισις τοῦ Λακώνων καί Καρκηδονίων ̉ Ρωμαίων τε πολιτεὺματος», in cui, se Polibio istituisce un raffronto tra Roma, Sparta e Cartagine nel modo detto dal V., non fa, per altro, alcun parallelo tra Roma e Atene.— Atene anzi (così come Tebe e Creta) è esclusa da Polibio dal novero delle famose repubbliche, e pel breve tempo in cui vi ebbero splendore le forme repubblicane, e per l’eseguita del territorio da essa dipendente.