Pagina:Vico, Giambattista – La scienza nuova seconda, Vol. II, 1928 – BEIC 1964822.djvu/110


danno alle leggi, si può con veritá dire che sono privilegi dettati dal particolar merito de’ fatti, il quale gli tragge fuori dalla comune disposizion delle leggi.

1002Quindi crediamo esser quello avvenuto: che, nella crudezza della barbarie ricorsa, le nazioni sconobbero le leggi romane: tanto che in Francia era con gravi pene punito, ed in Ispagna anco con quella di morte, chiunque nella sua causa n’avesse allegato alcuna. Certamente, in Italia si recavano a vergogna i nobili di regolar i lor affari con le leggi romane e professavano soggiacere alle longobarde; e i plebei, che tardi si disavvezzano de’ lor costumi, praticavano alcuni diritti romani in forza di consuetudini: ch’è la cagione onde il corpo delle leggi di Giustiniano ed altri del diritto romano occidentale tra noi latini, e i libri Basilici ed altri del diritto romano orientale tra’ greci si seppellirono. Ma poi, rinnate le monarchie e rintrodutta la libertá popolare, il diritto romano compreso ne’ libri di Giustiniano è stato ricevuto universalmente, tanto che Grozio afferma esser oggi un diritto naturale delle genti d’Europa.

1003Però qui è da ammirare la romana gravitá e sapienza: che, in queste vicende di stati, i pretori e i giureconsulti si studiarono a tutto loro potere che di quanto meno e con tardi passi s’impropiassero le parole della legge delle XII Tavole. Onde forse per cotal cagione principalmente l’imperio romano cotanto s’ingrandí e durò: perché, nelle sue vicende di stato, proccurò a tutto potere di star fermo sopra i suoi principi, che furono gli stessi che quelli di questo mondo di nazioni; come tutti i politici vi convengono che non vi sia miglior consiglio di durar e d’ingrandire gli Stati. Cosí la cagione, che produsse a’ romani la piú saggia giurisprudenza del mondo (di che sopra si è ragionato), è la stessa che fece loro il maggior imperio del mondo; ed è la cagione della grandezza romana, che Polibio, troppo generalmente, rifonde nella religione de’ nobili, al contrario Macchiavello nella magnanimitá della plebe, e Plutarco, invidioso della romana virtú e sapienza, rifonde nella loro fortuna nel libro De fortuna romanorum, a cui per altre vie meno diritte Torquato Tasso scrisse la sua generosa Risposta.