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80 ultime lettere d’jacopo ortis.


Bologna, la notte de’ 28 luglio.

E mi parrebbe pure di star meno male s’io potessi dormire lungamente un gravissimo sonno. L’oppio non giova: mi desta dopo brevi letarghi pieni di visioni e di spasimi. E sono più notti! — Mi sono alzato per tentare di scriverti, ma non mi regge più il polso. — Tornerò a coricarmi. Pare che l’anima mia siegua lo stato negro e burrascoso della natura. Sento diluviare; e giaccio con gli occhi spalancati. Dio mio! Dio mio!

Bologna, 12 agosto.

Oramai sono passati diciotto giorni da che Michele è ripartito per le poste, né torna ancora: e non veggo tue lettere. Tu pure mi lasci? Per Dio, scrivimi almeno: aspetterò sino a lunedì, e poi prenderò la volta di Firenze. Qui tutto il giorno sto in casa perché non posso vedermi impacciato fra tanta gente; e la notte vo baloccone per città come una larva, e mi sento sbranare le viscere da tanti indigenti che giacciono per le strade, e gridano pane, non so se per loro colpa, o d’altri — so che domandano pane. Oggi tornandomi dalla posta mi sono abbattuto in due sciagurati menati al patibolo: ne ho chiesto a quei che mi si affollavano addosso; e mi è stato risposto, che uno avea rubato una mula, e l’altro cinquantasei lire per fame.1 Ahi Società! E se non vi fossero leggi protettrici di coloro che per arricchire col sudore e col pianto de’ proprj concittadini li sospingono al bisogno e al delitto, sarebbero poi sì necessarie le prigioni e i carnefici? Io non sono sì matto da presumere di riordinare i mortali; ma perché mi si contenderà di fremere su le loro miserie, e più di tutto su la lor cecità? — E mi vien detto che non v’ha settimana senza carneficina; e il popolo vi accorre come a solennità. I delitti intanto crescono co’ supplizj. No, no; non vo’ più respirare quest’aria fumante sempre del sangue de’ miseri. — E dove?

Firenze, 27 agosto.

Dianzi io adorava le sepolture di Galileo, del Machiavelli, e di Michelangelo; e nell’appressarmivi io tremava preso da brivido. Coloro che hanno eretti que’ mausolei sperano forse di scolparsi della povertà e delle carceri con le quali i loro avi

  1. Da prima questo racconto parevami esagerato dalla fantasia costernata di Jacopo; ma poi vidi che nello stato Cisalpino non vi era codice criminale. Si giudicava con le leggi de’ caduti governi; e in Bologna co’ decreti ferrei de’ cardinali, che minacciavano di morte ogni furto qualificato eccedente le cinquantadue lire. Ma i cardinali mitigavano quasi sempre la pena, il che non può essere conceduto a’ tribunali della Repubblica, esecutori necessariamente inflessibili delle leggi. Così spesso la Giustizia impassibile è più funesta della arbitraria Equità.