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ultime lettere d’jacopo ortis. 61


14 maggio.

Anche jer sera tornandomi dalla montagna, mi posai stanco sotto que’ pini; anche jer sera io invocava Teresa. — Udii un calpestio fra gli alberi; e mi parea d’intendere bisbigliare alcune voci. Mi sembrò poi di vedere Teresa con sua sorella. Impaurite a prima vista fuggivano. Io le chiamai per nome, e la Isabellina riconosciutomi, mi si gittò addosso con mille baci. Mi rizzai. Teresa s’appoggiò al mio braccio, e noi passeggiammo taciturni lungo la riva del fiumicello sino al lago de’ cinque fonti. E là ci siamo quasi di consenso fermati a mirar l’astro di Venere che ci lampeggiava su gli occhi. — Oh! diss’ella, con quel dolce entusiasmo tutto suo, credi tu che il Petrarca non abbia anch’egli visitato sovente queste solitudini, sospirando fra le ombre pacifiche della notte la sua perduta amica? Quando leggo i suoi versi io me lo dipingo qui — malinconico — errante — appoggiato al tronco di un albero, pascersi de’ suoi mesti pensieri, e volgersi al cielo cercando con gli occhi lagrimosi la beltà immortale di Laura. Io non so come quell’anima, che avea in sé tanta parte di spirito celeste, abbia potuto sopravvivere in tanto dolore, e fermarsi fra le miserie de’ mortali: oh quando s’ama davvero! — E mi parve ch’essa mi stringesse la mano, e io mi sentiva il cuore che non voleva starmi più in petto. Sì! tu eri creata per me, nata per me, ed io — non so come ho potuto soffocare queste parole che mi scoppiavano dalle labbra.

E saliva su per la collina, ed io la seguitava. Le mie potenze erano tutte di Teresa; ma la tempesta che le aveva agitate era alquanto sedata. — Tutto è amore, diss’io; l’universo non è che amore! e chi lo ha mai più sentito, chi più del Petrarca lo ha fatto dolcissimamente sentire? Que’ pochi genj che si sono innalzati sopra tanti altri mortali mi spaventano di meraviglia; ma il Petrarca mi riempie di fiducia religiosa e d’amore; e mentre il mio intelletto gli sacrifica come a nume, il mio cuore lo invoca padre e amico consolatore. — Teresa sospirò insieme e sorrise.

La salita l’aveva stancata: riposiamo, diss’ella: l’erba era umida, ed io le additai un gelso poco lontano. Il più bel gelso che mai. È alto, solitario, frondoso: fra’ suoi rami v’ha un nido di cardellini. Ah vorrei poter innalzare sotto l’ombre di quel gelso un altare! — La ragazzina intanto ci aveva lasciati, saltando su e giù, cogliendo fioretti e gettandoli dietro le lucciole che veniano aleggiando: Teresa sedea sotto il gelso, ed io seduto vicino a lei con la testa appoggiata al tronco, le recitava le odi di Saffo: sorgeva la Luna — oh! —

Perchè mentre scrivo il mio cuore batte sì forte? beata sera!