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Insomma costoro, pazzi certamente nei loro scritti, e molte volte più di quelli dei manicomi, lo sono poco negli atti della vita, dove mostransi pieni di buon senso, di furberia ed anche di ordine; per cui accade loro il rovescio che ai veri poeti e in specie a quelli ispirati dalla pazzia, quasi tutti di tanto più abili nelle lettere quanto meno lo sono nella vita pratica. Quindi si spiega come molti di questi autori di bizzarrie mediche sono reputatissimi pratici. Uno era direttore di un ospedale. L’autore dello Scottatinge fu capitano e commissario di guerra. Un altro, inventore di macchine quasi preistoriche e di scritti più che umoristici, è in un ufficio che l’espone a continui contatti con uomini colti, che non l’hanno sospettato mai di follia.

La convinzione esagerata in loro dei proprii meriti ha ciò di speciale: del manifestarsi più negli scritti, che negli atti della vita e nella parola, sì che non mostra irritarsi, così come succede nei pazzi e anche nei genii, della contraddizione e delle tristizie della vita pratica.

Il Cianchettini si paragona a Galileo e a Gesù Cristo, ma scopa la scala della caserma. Passanante si nomina presidente della Società politica e fa il cuoco. Mangione si classifica martire dell’Italia e del proprio genio, eppure si adatta a far da sensale.

E non sarebbero mattoidi se insieme alla apparenza della serietà e alla tenacia costante in una data idea, che li fa simili al monomaniaco ed all’uomo di genio, non s’accompagnasse spesso negli scritti la ricerca dell’assurdo e la continua contraddizione e la prolissità e futilità pazza; ed una tendenza che supera tutte l’altre, la vanità personale.