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E come no, se mai, pur nella prospera
sorte, un sorriso ei mi mostrò benevolo4?
Che cosa ei mi dirà? Quale improperio
non lancerà contro il bastardo, nato
d’una schiava di guerra, e che tradí
per codardia, per tristo animo, te,
dilettissimo Aiace, o per inganno,
per usurpare il tuo dominio, quando
tu fossi morto, e le tue case. Questo
dirà quell’iracondo, aspro per gli anni,
che per un nulla a rissa il cuore infiamma.
E sarò dalla patria alfin bandito,
servo mi chiameranno, e non piú libero.
Questo m’attende nella patria. E molti
son nella Troade a me nemici, e pochi
quelli in cui fidi. Io tutto ciò guadagno
dalla tua morte. Ahimè, che farò? Come
ti strapperò da questa amara lucida
punta, o meschino, per la cui trafitta
l’alma esalasti? Avresti mai creduto
che, pur dopo la morte, Ettore uccidere
potesse te? Di questi due mortali
considerate, per gl’Iddei, la sorte.
Alla sponda del carro Ettore avvinto
col bàltëo che a lui donava Aiace,
fu trascinato, lanïato fu
sino alla morte; ed un tal dono Aiace
d’Ettore avendo, ne morí, piombandovi
su, con funesto crollo. Ora, un’Erinni
questa sua spada non foggiò, quel bàlteo
Ade, il selvaggio artefice? Dunque, io
direi che questi e ogni altro evento agli uomini
apprestano i Celesti; e a cui non piacciano