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IL CICLOPE 245


della filosofia; ma realizzata con la potenza creativa di un artista che sapeva infondere nei suoi personaggi sangue, muscoli e nervi.

E, infine, e non ultimo, il satirello. Che qui non è solamente un volgare scioperato lascivo e ghiottone, ma è capace di sentire tutto l’incanto della montagna, della sorgiva, della selva profonda. Creatura primitiva, al pari del Ciclope; ma nella quale l’istinto serve anche a penetrare con spirito fraterno i misteri della natura, oscuri ed opachi agli spiriti troppo inciviliti.

Questa concezione trovava la sua naturale culla nei riti dionisiaci. Ma nessun altro poeta, se non lo stesso Euripide, ne Le Baccanti, seppe incarnarla in versi cosí freschi e suggestivi. Per trovare qualche cosa di simile dobbiamo discendere al Caliban di Shakespeare.

Anche esso è, come i suoi fratelli in Euripide, pigro, ghiotto e lascivo. Ha dimostrata la sua riconoscenza a Prospero tentando di violare Miranda; e ai rimproveri del principe risponde:

               Oh, se mi fosse
venuta fatta! Tu me lo impedisti:
popolata, se no, l’isola tutta
avrei di Calibani.

Anche esso è, come i Satiri, appassionatissimo del vino. Gli era ignoto, come al Ciclope. Ma quando Stefano glie lo fa gustare, prende per Numi lui e il buffone Trinculo.

Son belle creature, anche se spiriti
non sono: è questi un Nume bello e buono,
e celeste il licor che reca: voglio
inginocchiarmi avanti a lui.