di terra in terra: poiché volle aggiungere
Euristèo quest’oltraggio ai tanti mali.
In qualsivoglia terra egli apprendesse
che ci eravam fermati, ivi spediva,
a richiederci, araldi, ed a bandircene,
d’Argo ostentando la minaccia, ch’è
non piccola città, che giova amica,
non già nemica aver, magnificando
la sua propria potenza. E quelli, me
cosí debol vedendo, e questi pargoli
e senza padre, onorano i piú forti,
e via ci scaccian dalla terra. Ed io
esule vo’ con questi fanciulli esuli,
ed infelice son con gl’infelici,
né abbandonar li so, che poi non abbia
a dire alcun degli uomini: «Vedete,
poiché questi fanciulli han perso il padre,
Iolao, che pure è dello stesso sangue,
non li soccorre». Ed or, da tutta l’Ellade
esclusi, siamo a Maratona giunti,
e al paese consorti; e stiamo supplici
dinanzi all’are degli Dei, se vogliano
darci soccorso. Ché le piane, dicono,
di questa terra, i due figli di Tèseo1
abitano, che a sorte il regno n’ebbero,
di Pandíone discesi; e a questi pargoli
son congiunti di sangue. Ecco perché
della celebre Atene ora ai confini
siamo venuti. E son due vecchi i duci
di questa fuga: io che per questi pargoli
la mente aguzzo; e fra le braccia Alcmena
dentro nel tempio la femminea prole
del figlio suo tien fra le braccia stretta,