mai non l’avesse!, Menelào: ché poi,
dalla terra dei Frigi a Lacedèmone
quell’uomo11 giunse che alle Dee fu giudice
come n’è fama tra gli Argivi; e un fiore
parea nelle sue vesti, e d’oro fulgido
con barbarica pompa, e innamorato
rapí l’innamorata Elena, e ai campi
d’Ida l’addusse. E Menelao non c’era.
Ma come ritornò, furente corse
l’Ellade tutta, e i giuramenti a Tíndaro
un giorno fatti ricordò: che aiuto
convien prestare a chi patí sopruso.
E alla guerra correndo, allora gli Elleni
impugnarono l’armi, e in questo d’Aulide
angusto passo vennero, di navi,
di scudi armati, di cavalli e cocchi.
E duce me, perché di Menelao
ero fratello, elessero. Deh, fosse
toccato ad altri un tanto onor! Ché tutte
son raccolte le genti, e noi qui stiamo,
e non possiamo navigare, in Aulide.
E Calcante, indovino, a cui rivolti
nella distretta ci eravamo, tale
responso diede: che alla Diva Artèmide
che quivi ha sede, Ifigenia mia figlia
sacrificar si dee: sacrificandola,
facile il mare avremo, e struggeremo
la gente frigia: se non l’immolassimo
nulla ci ciò conseguiremmo. Appena
udito ciò, diedi ordine a Taltíbio
che rimandasse con un alto bando
tutte le genti: ché mia figlia uccidere
io non l’avrei sofferto mai. Ma qui,