Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) II.djvu/219

216 EURIPIDE

se tu la vita a un figlio dài, la morte
il figlio a te darà, nel sangue immersa
tutta sarà la casa tua». Ma quegli,
indulgendo al piacer, vinto dal vino,
un figlio seminò; poi, come gli ebbe
data la vita, ripensò l’oracolo
del Dio, conobbe il proprio errore, e il pargolo
a bifolchi affidò, che l’esponessero,
poi che trafitti gli ebbe con un pungolo
i mallèoli a mezzo: onde poi l’Ellade
Edípo lo chiamò1. Ma lo raccolsero
di Pòlibo i pastori, e lo recarono
alla regina, e a lei lo consegnarono.
Ed essa, il frutto della doglia mia
al proprio seno avvicinò, convinse
lo sposo suo ch’era suo figlio. E quando
uomo divenne il mio figliuolo, e fulve
le gote sue, vuoi per sospetto, vuoi
ch’altri parlasse a lui, bramò conoscere
i propri genitori, e al santuario
mosse di Febo. Ed in quei giorni stessi
Laio v’andò, lo sposo mio, per chiedere
se l’esposto figliuolo ancor vivesse.
E l’uno all’altro, a un punto della Fòcide
che si fende in tre vie, di fronte giunsero.
E l’auriga di Laio allora impose:
«Fatti da banda, forestiero, e cedi
il passo ai re». Ma l’altro, animo altero,
proseguía muto: onde i puledri, i tendini
dei pie’ gl’insanguinâr coi loro zoccoli.
Ma che giova narrar quanto è remoto
dei mali miei? Sorse una lite, e il figlio
uccise il padre, ascese il cocchio, e a Pòlibo,