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112 | EURIPIDE |
schezza stupende. Si pensa a Shakespeare. Ma ad uno Shakespeare sinfonista, le cui scene siano tutte dominate, dal taglio generale, ai piú minuti particolari, del divino spirito della musica, che effonde le sue aure, come un balsamo, sopra la successione degli episodii drammatici, a raddolcirne le asprezze, a saldarne i lembi, a fonderne i varii colori, con velature sapienti, in unità armoniosa.
Come già si disse, noi non conosciamo alcuno dei drammi precedenti di Euripide: questa Alcesti ci balza incontro agile e luminosa, come un vèlite e un araldo. Qui vediamo un artista giovine e ardimentoso, a cui la vita non ha consigliato ancora nessun compromesso e nessuna prudenza, incurante e sdegnoso della tradizione, elaborare la materia dell’arte con piena libertà, come gli detta l’estro, e, anche un po’, il capriccio. Altri lavori della maturità potranno superarlo per ricchezza di contenuto, per profondità, per magistero di tecnica: nessuno avrà piú quell’ineffabile fascino di freschezza e di vita. Di fronte ai drammi euripidei di grande stile, questa Alcesti, che rinuncia a quasi tutte le risorse di una tecnica tradizionale e sicura, per affidarsi unicamente alla sensibilità, alla passione, all’impressione, appare forse un po’ scarna, un po’ sommaria. Non sarà il capolavoro d’Euripide; ma certo fra i suoi drammi è quello che parla ancora piú vivamente, piú direttamente ai cuori moderni.
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Si potrà certo discutere qualche particolare; ma per ogni intelletto non sofistico, per ogni sensibilità normale, che all’opera d’arte non chieda altro se non emozioni artistiche, questa e non altra deve essere l’interpretazione e la valutazione dell’Alcesti. Il verdetto di tanti pubblici, unanime per