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LE BACCANTI 19

talessi, per ricondurre il suo spirito dal terribile groviglio di sensazioni folli ad uno stato originario neutro, per renderlo una pagina bianca. E su questa incomincia a tracciare, linea per linea, la terribile sigla che conduce Agave al tragico rinsavimento. È una scena shakespeariana; e l’attrice che sapesse degnamente renderla, potrebbe, con l’urlo d’Agave, far correre negli spettatori un brivido soprannaturale.

Col rinsavimento d’Agave, l’incantesimo è rotto, e tutto rientra nell’ordine naturale. Ed anche il lettore sente infine, con un sospiro di sollievo, spezzato il sortilegio che cosí a lungo lo aveva irretito.

Nella prefazione generale ho parlato delle native facoltà poetiche d’Euripide, intensificate dai suoi studî giovanili. Nelle Baccanti piú che in ogni altro dramma se ne vedono nitidi ed efficaci i riflessi.

I due racconti dei messi sono insuperabili esempî di quanto possa la parola per emulare l’evidenza della pittura. E per ogni parte del dramma circola questo fermento pittorico, e ne rende ogni elemento oltremodo vivido e caratteristico. Basterebbero i versi coi quali Penteo descrive Diòniso (230):

un fattucchiere ciurmador di Lidia,
di bionde chiome ricciole fragranti,
vermiglio in viso e voluttà spirante
dalle pupille.

Son pochi tratti: eppure la sua figura ci sorge innanzi indimenticabile; e non rimase certo senza influsso sul tipo di Diòniso che effigiò l’arte posteuripidea, ben diverso dall’antico Diòniso barbato. E un tardo scrittore, Callistrato, descrivendo