dove, portento favoloso, surgono
la favellanti querce, onde ben chiaro
e non per via d’enimmi a te fu detto
che consorte saresti eccelsa a Giove —
non hai lusinga in tal ricordi alcuna? —
di lí, punta dall’estro, ti lanciasti
lungo la spiaggia, al gran seno di Rea12:
donde piú lunge, in procellosa corsa
fosti qui spinta. E nei futuri giorni
sappilo certo, quel marino abisso
Ionio detto sarà fra tutti gli uomini,
a ricordare il tuo viaggio. Segno
questo sarà per te della mia mente,
ch’essa oltre a ciò ch’è manifesto scorge.
A questa e insieme a voi dico ora il resto,
tornando all’orme dei miei prischi detti.
Di quella terra all’ultimo confine,
alla foce del Nilo, ov’esso addensa
le sabbie, sorge la città di Cànobo.
Quivi col tocco e la carezza sola
della sua man, Giove ti rende il senno.
Ed a luce il negro Èpafo darai,
che nome avrà dal giovïale tocco.
E signore sarà di quanta terra
l’ampie fluenti irrigano del Nilo.
La quinta stirpe dopo lui, progenie
di ben cinquanta femmine, di nuovo
ad Argo tornerà, non di suo grado,
ma per fuggir le consanguinee nozze
dei lor cugini. Ardenti il sen d’amore,