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PROMETEO LEGATO 253


i Titani; e non seppi. Essi, superbi
della lor forza, le sottili astuzie
disprezzarono; e senza stento, a forza,
conquistare il dominio immaginarono.
A me, però, non una sola volta,
mia madre Temi, e Gea che nomi ha varî
ed una forma sola3, avean predetto
l’evento già delle future sorti:
che vinto avrebbe chi vincer doveva,
non con la gagliardia, non con la forza,
ma con l’astuzia. E tutto questo udirono
dalle parole mie, né lo degnarono
d’alcun riguardo. In tali eventi, il meglio
mi parve allor trarre con me mia madre,
e spontaneo prestar soccorso a Giove
che lo bramava. E pei consigli miei,
il negro abisso del profondo Tartaro,
Crono l’antico e i suoi compagni asconde.
Ebbe da me tal beneficio; ed ora
con queste pene turpi il re dei Numi
me ne compensa: è mal della tirannide
questo di non prestar fede agli amici.
Or poi rispondo alla dimanda vostra,
per qual ragione egli cosí m’offenda.
Seduto appena sul paterno soglio,
subito Giove a compartir si diede
doni ai Celesti, a compartire uffici,
a chi questo, a chi quello. E dei mortali
non fe’ parola alcuna: anzi distruggere
tutta quanta volea la stirpe loro.