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§ 5. — Parola e accento.
[L’accento è l’anima della parola.]27. Dicesi accento «l’intensità maggiore o minore della corrente d’aria che esce dai nostri polmoni, quando si pronunziano le varie sillabe di una parola» (accento espiratorio)1.
In ogni parola è una sillaba (v. n. 25) che per l’accento spicca di più sulle altre: è questo l’accento che vien detto l’anima della parola, perchè ne stringe in sè tutti gli elementi, dandole unità e vita.
Secondo tale accento la parola dicesi tronca, piana, sdrucciola, bisdrucciola: virtù, amaro, amarògnolo, càpitano. Ma nella nostra lingua la maggior parte delle parole son piane.
[Dove si segna.]28. L’accento non si segna se non in casi particolari:
a) nei monosillabi: 1° per toglier qualche incertezza di pronunzia, quando finiscono in dittongo: ciò, già, più, piè, può, ecc.; non in qui, qua che non contengono dittongo; 2° per distinguere il significato negli undici seguenti:
è, verbo da e, cong.; dà, verbo, 3ª s. pr. ind. da da, prep.; dì, nome da di, prep.; sé, pron. da se, cong.; sì, avv. da si, pron. àtono; né, cong. da ne, pr. àtono; là, lì, avverbi da la, li, articoli e pronomi; ché, cong. per perché da che, cong. sempl. e pron.; fé, per fede da fe’, per fece; tè, pianta da te, pron.;
- ↑ Questo è detto comunemente tonico per distinguerlo dal grafico o sia dal segno dell’accento; ma tonico o musicale deve dirsi l’accento per cui «la parola viene come cantata» e riceve una particolare espressione (Malagòli): «l’armi, qua l’armi, io sólo combatterò, procomberò sol ío» (Leop.). «Ch’ío me ne pentissi? davanti foss’(io) uccisa!» (Cielo d’A.).