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micidiali. C’insegnava lui di quando in quando a leggere, scrivere e far di conto. E durante le nostre passeggiate faceva la nostra educazione letteraria.

Almeno lui lo credeva, perchè ci raccontava l’Iliade, l’Eneide, la Gerusalemme. Si animava, gesticolava narrando di eroi che si battevano soli contro un’armata, sollevavano macigni grossi come montagne e li scaraventavano contro il nemico, compievano le imprese più stupefacenti ed inverosimili; e, quando finiva quelle narrazioni, il povero babbo era tutto ansimante ed in sudore, come se quelle gesta le avesse fatte lui.

Noi non dividevamo punto la sua ammirazione. Prive dell’attrattiva della forma, dette così fra due campi di granturco, quelle cose ci parevano stravaganze, e non ci riusciva di capire come potessero costituire la nostra educazione letteraria. Le confondevamo con certe fole bislacche, che ci raccontava