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di quel riso che è la suprema forma di un dolore senza speranza. Anche qui in Italia, nella prima metà del secolo che viviamo, per tacere di altre epoche, poscia chè alle ardenti speranze tenne dietro il disinganno del dispotismo e della reazione teocratica, molti maledissero al giorno in cui nacquero, ed alla fede nel bene così sterile e vuota. Che se una voce potente insieme e soave non avesse suscitata la speranza dal seno stesso della miseria, l'Italia forse non siederebbe ora libera ed una nel consorzio delle nazioni civili.

Ben m'intendo, o Signori, che nel dir tali cose, il vostro pensiero ricorre a Giacomo Leopardi, e ad Alessandro Manzoni, l'uno che fu il rappresentante qui di questo indirizzo scettico e desolatore, l'altro della fiducia che crea la energia delle azioni, unica altrice di quegli immegliamenti che sono possibili e desiderabili in questo perenne pellegrinaggio della specie umana. Molti punti di comunanza sonovi tra l'altissimo recanatese, ed il grand'uomo di cui oggi celebriamo la commemorazione.