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xxxviii | l’autore ai lettori. |
sapienza non superabile tuttociò che le favole, le tradizioni, il sentimento, i costumi e la recondita speculazione porgevano di più vero e di più elegante intorno al subbietto, e massime intorno alla separazione del volgare amore dal celeste. Pure, non ostante l’inno bellissimo di Agatone e le mistiche rivelazioni di Diotima, la civiltà Greca non concedette all’autor del Convito d’indovinare quello che sotto l’influsso della religione di Cristo sarebbe comparsa la donna agli occhi innamorati ma timidi e verecondi del trovatore provenzale e del rimatore toscano. Quindi nel cinquecento le lettere nostre offerivano nei componimenti d’amore un contrapposto singolarissimo tra coloro che verseggiavano in volgare e gli altri che in latino. Agli occhi de’ primi la donna era cosa al tutto celeste, e nemica mortale d’ogni profanità e carnalità di pensieri e di voglie. Appo i secondi, invece, Amore pargoleggiava capriccioso e lascivo come fatto aveva sulle ginocchia di Catullo e di Anacreonte, nè gli piaceano le Grazie salvo che nude, e nuda volea d’accanto la sua genitrice. Di tale meschianza vera ma speciosissima di concetti pagani e cristiani fa ritratto l’Idillio nostro, ponendo come a rimpetto l’uno dell’altro e come venuti a gara di canto due insigni poeti compaesani e contemporanei, il Pontano e il Costanzo. Nè è facile dire in quale dei due s’asconda vena maggiore di poesia, o quale almeno riesca più dilettevole e più attrattivo.
RISPETTI D’UN TRASTEVERINO.
Non meno della marchigiana, la plebe romana parla italianamente più di qualunque altra popolazione della penisola, eccetto peraltro i sanesi ed in generale i toscani, ai quali ogni nostra lingua vernacula dee ceder non poco per la correzione, la proprietà e l’eleganza.