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l’autore ai lettori. xvii


Con motti e scede? Ah! nol consenta Iddio.
Me sopra i monti suoi, me paurosa
Tortore ei chiama dalle valli infette
Di sangue e di peccato, e quivi a lui
Supplicherò per gl’infelici oppressi,
Madre, per te supplicherò perdono.

Sono diciassette versi di cui nessuno è compiutamente simile agli altri nel ritmo e nell’armonia; la quale, secondo che ricercasi dal concetto e dalla passione, va prima spedita e vibrata e termina in suoni pieni di grandezza e di forza.

Ma chi penserebbe che cotesta efficacia e bellezza di metro imparata dal Caro in Virgilio e menata alla quasi ultima perfezione da lui medesimo che per primo la rinveniva e l’usava, chi penserebbe, dico, che in niuno suo scritto o degli amici suoi più dotti ed intrinseci non venga, ch’io sappia, neppur mentovata e non se ne accenni e determini nessuna regola? Forse, è provenuto il silenzio da ciò che il Caro e que’ sommi letterati e scrittori amici di lui stimarono troppo tenue cosa questi secreti di prosodia e da non curarsene più chè tanto? Ma il fatto dimostra che invece i coetanei stessi del Caro e i poeti che più tardi usarono l’endecasillabo sciolto, o non posero mente a cotesti fini artificj o non li capirono quanto bisogna. Toccai qui sopra del verso monotono dell’Alamanni. Non molto migliore ci riesce quello del Tasso nel Mondo Creato; mentre pieni di varietà e di acconcissima sprezzatura sono gli sciolti dell’Aminta. Ne’ noștri tempi, io già notava che meglio di tutti, per mio giudicio, à posseduto l’abilità del ritmo il Parini e dopo lui il Monti ed il Foscolo; ma nessuno dei tre, per tale rispetto, è da sovrapporsi al Caro e nemmanco da pareggiarglisi. Il Monti smarrisce non di rado la varietà volendo troppo cercare la piena sonorità e scorrevolezza.