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l’autore ai lettori. vii


gando la natura universa, spiega il desiderio e il rimpianto d’ogni passato e gli enigmi e le speranze d’ogni futuro, che sono la poesia eterna del genere umano.

Nessuna lingua poi, dopo le classiche antiche, vale a competere con la italiana nella facoltà di scaldare di vita e illuminare e tingere in bei colori qualunque concetto astrattissimo e aridissimo della scienza. Nella scuola di Dante imparasi a oltrepassare di lungo tratto gli artificj di Lucrezio e a non pigliar paura di quelli medesimi di Virgilio.

Ne’ due Inni, adunque, alla Chiesa Primitiva io assaggiai le mie forze per comparire ne’ versi, qual mi sentivo dentro alla mente ed al cuore, poeta filosofo e poeta civile. Ma se quella fu comparsa buona o infelice non s’appartiene a me il giudicare.

La poesia politica messa in tacere dalla comune e lunga oppressione delle nostre provincie, rinacque e si rinsanguò con l’Alfieri, col Monti, col Manzoni, col Niccolini, col Berchet. Quella, peraltro, che io tentai di significare negl’Inni prendeva, se iò troppo non erro, un certo abito nuovo e attraente dall’immedesimarla che io faceva con gli spiriti più generosi del cristianesimo e con la santità del Vangelo, e mostravasi quale a’ dì nostri l’avria concepita un discepolo di Frate Savonarola. Il che in Italia, per ciò che io conosco, non erasi veduto ancora.

INNO A SANT’ELMO, INNO A ĐIÒ,
INNO A SANTA ROSALIA.

La qual poesía politica e scritturale insieme io presi a trattare con ampiezza maggiore e con intenzioni più strettamente annesse alle cose italiane nei versi qui avanti citati. Nell’Inno a Dio mi strinse necessità di competere con la più bella ed immaginosa composizione di Giovan-