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i caratteri morali

l’aratro che imprestò, il canestro, la falce, il sacco, ricordandosene nell’insonnia, la notte, corre a richiederli1. E quando scende in città chiede al primo che incontra qual prezzo abbiano le pelli di capra e i salumi, e se oggi l’arconte2 celebra il novilunio. E dice subito di volere, sceso che sia3, tagliarsi i capelli. E nel bagno si mette a cantare e a piantar chiodi nelle scarpe; e giacché passa per quella via corre a pigliarsi le salsicce da Archia.

Leggo con i codici piú recenti ὑποφαίνεσθαι, «quasi mostrare», ché «mostrarle» non era possibile neppure allora.

I codici hanno πειρῶν λαθεῖν e potrebbesi intendere «tasta di soppiatto la serva», con πειρᾶν = subigitare. Ma non mi pare sia il caso di intendere cosí.

Leggo «καὶ» τὴν θύραν, senza il superfluo παρά.

  1. Leggo «ἀπαιτεῖν», integrazione necessaria.
  2. I codici hanno ὁ ἄγων, ma ὁ ἄρχων è correzione evidente. L’arconte sarà il magistrato preposto all’amministrazione della giustizia, il quale probabilmente prendeva le ferie in quel periodo del mese.
  3. Dicevasi καταβαίνειν, «scendere», di chi dalla campagna recavasi in città.

5.


LA PIAGGERIA

La piaggeria, a comprenderla sotto definizione, consiste in un modo di trattare che cerca di piacere, ma non per il meglio; e invero il piallone1 è cotal uomo che salutatoti di lontano ti chiama eccellenza, e, fattone ammirazioni grandi, non ti lascia andare con tutte e due le mani2, e accompagnandoti un poco e richiestoti quando potrà rivederti se ne va tuttavia encomiandoti. Chiamato a dirimere una contesa, non solo egli vuol piacere a quello a cui assiste, ma anche


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