«Caratteri» pubblicata a Parigi nel 1842. Non tradusse che il prologo e il primo carattere, e di quel che egli sentisse e giudicasse di Teofrasto e dell’opera sua altra testimonianza non c’è che non siano poche parole dello «Zibaldone» e le pagine veramente felici della operetta morale intitolata «Comparazione delle sentenze di Bruto minore e di Teofrasto vicini a morte», che sono state da noi più volte per altri luoghi citate e che qui citeremo ancora a ricordo della grande stima che di Teofrasto ebbe quel grande poeta nostro: «ora volendo cercare quello che potesse avere indotto nell’animo di Teofrasto il sentimento della vanità della gloria e della vita, il quale a ragguaglio di quel tempo e di quella nazione riesce straordinario, troveremo primieramente che la scienza del detto filosofo non si conteneva dentro ai termini di tale o tal’altra parte delle cose, ma si stendeva poco meno che a tutto lo scibile, quanto era lo scibile in quella età, come si raccoglie dalla tavola degli scritti di Teofrasto, lasciati perire la massima parte». La versione non fu fatta dal Leopardi, ma la traduzione che Dionigi Leondarakis pubblicava nel 1887 a Bologna presso Turchi e Veroli, e poi di nuovo a Bologna nel 1830 presso Nobili, e finalmente a Pisa nel 1834; e le altre che nel 1841 Tullio Dandolo stampava a Torino, e Vincenzo Marchesani a Napoli nel 1868 e nel 1875: dimostrarono quale interesse riscotesse l’operetta teofrastea anche in Italia. Fuori d’Italia apparivano le edizioni di Ast nel 1816, di Hottinger nel 1821, di Thiersch nel 1822, i di Sheppard nel 1852; e intanto lo studioso tedesco Wurm pubblicava un riassunto in greco dei primi ventun capitolo da un codice manoscritto di Monaco, la cosiddetta Epitome Monacensis.
Ormai potevasi stabilire con sicurezza che le prime edizioni del Pirckheymer, del Camozzi, del Casaubon e del Needham, dal 1527 al 1712 erano state condotte su pochi codici e su collazioni posteriori del Dübner e del Cobet, rispettivamente del 1841 e del 1874, pur segnando un certo progresso sulle precedenti, non erano gran che migliori, e s’imponeva perciò una revisione totale della tradizione manoscritta, che, affidata alle cure della Società filologica di Lipsia e diretta da Ottone Ribbeck e preceduta in parte dai lavori di