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la fortuna di un libro

1763 nella stessa Coburgo col sussidio di nuovi codici manoscritti e le congetture di ottimi critici, quali il Salmadio e il Reiske, e le sue proprie. Contemporaneamente, Leonardo del Riccio pubblicava in Italia una traduzione, in parte pregevole in parte no, e in genere piuttosto confusa e prolissamente commentata, stampandola nel 1761 presso Michele Moücke in Firenze e corredandola di nuove seppure imprecise lezioni di codici.

C’erano ormai i presupposti necessari perché nella seconda metà dell’Ottocento le scuole filologiche ponessero su nuovi fondamenti la questione dei «Caratteri», e non soltanto ne studiassero la lingua e ne costituissero piú solidamente il testo critico, ma ne illustrassero la natura e le origini. Era intanto avvenuto che qui da noi, in Italia, si scoprissero altri due caratteri in un codice manoscritto della Biblioteca vaticana, e che nel 1786 Giovanni Amaduzzi li pubblicasse per la prima volta a Parma presso Bodoni, e di lí a poco nel 1799 uscisse in Parigi presso Baudelot ed Eberhart l’edizione dei trenta caratteri condotta sul modello di un codice vaticano con traduzione e note critiche di Pietro Coray. Dopo la traduzione che nel 1808 Matteo Marco Beltramini pubblicava in Ferrara, riproducendo quasi alla lettera l’altra che nel 1758 l’avvocato Giuseppe Antonio Costantini aveva pubblicata a Venezia, Giacomo Leopardi collazionava il codice vaticano 110 e scriveva il 22 dicembre del 1824 al marchese Giuseppe Melchiorri in Roma di voler proporre all’editore romano De Romanis «di fare un’edizioncina elegante dei Caratteri di Teofrasto tradotti dal greco in puro e buono italiano. Il libro, affatto del gusto presente, è sconosciuto, si può dire, alla lingua italiana, la quale non ne ha, ch’io sappia, altra traduzione che quella sciocchissima di Costantini fatta non dal greco ma dal francese, e un’altra, non meno insulsa, fatta nel 600, in lingua di quel secolo, e con intelligenza di greco proprio di quei traduttori d’allora».

In una lettera del sei gennaio 1826 Leopardi dirà anche: il Teofrasto è solamente cominciato», ma probabilmente egli alludeva in cosí dire agli studi sul testo e a quelle poche schede critiche che più tardi consegnò a Luigi De Sinner e che furono poi sfruttate dallo studioso francese Stiénevart nell’edizione dei


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