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i caratteri morali

Contese e litigi che noi giudicheremmo in conciliazione, era costume attico che li giudicasse un arbitro scelto dai contendenti. In proposito la commedia menandrea intitolata «L’arbitrato» è ottimo documento, ed ἐπιτρέπειν significa per appunto rimettere la decisione all’arbitro. Ora il nostro superbo non fissa un luogo dove incontrarsi, né si ferma, se richiesto di far da arbitro, ma giudica il litigio passeggiando, e forse stando in mezzo tra i due litiganti: è inutile leggere come propone il Diels, poiché ἐν τοῖς ἐπιτρέψασι è descrittivo, e ci mostra il giudice tra i due che si sono rivolti a lui come ad un arbitro.

Letteralmente: «eletto per acclamazione».

πορεύομαι ha spesso questo significato in Teofrasto.

Letteralmente: «spingere da un lato e dall’altro i sassolini dell’abaco», a seconda si dovessero calcolare diecine, centinaia, migliaia, ecc.

Il verbo διωθεῖν, chi abbia presente come è fatto il pallottoliere, sembra vocabolo tecnico.

Il superbo non si scomoda neppure, e non crede di dovere da sé sedere ad calculos. A proposito, i «sassolini» greci corrispondono per appunto ai calculi latini. Nota poi il «chiamare ai conti» latino che dicevasi revocare ad calculos.

Così agisce anche il «maleducato» di Aristone, nel carattere da noi tradotto a pagina 52.


25.

LA VIGLIACCHERIA

La vigliaccheria parrebbe essere in verità paurosa pusillanimità1, e il codardo cotal uomo che navigando crede i promontori esser fuste corsare, e se c’è maretta domanda se non sia iniziato2, e al pilota che guarda il cielo3 chiede se tien la rotta4 e che cosa gli sembri del cielo, e intanto dice a chi gli siede allato che ha paura per un sogno ch’egli ha fatto, e spogliatosi della camiciuola la dà al paggio, e scongiura che lo sbarchino a terra5. E trovandosi poi in campo tra i fanti chiama a sé quelli che


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