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teofrasto


23.

LA SUPERBIA

È la superbia1 disprezzo degli altri fuor che di sé, e il superbo è cotal uomo che a chi ha premura dice che lo vedrà2 dopo cena a passeggio; e se rende un servigio dice di ricordarsene; e le contese se le dirime passeggiando per la strada fra i litiganti3; e acclamato ad una carica4 rifiuta giurando che non ha tempo. E non vuole accostarsi a nessuno per primo; e i venditori e gli affittuali è capace di volere che vadano da lui sul far del giorno; e quando cammina per le strade non rivolge la parola a nessuno di quelli che incontra, ma tiene il capo chino, e solo se gli garba lo rialza. E se convita degli amici non mangia insieme con essi, ma dà incarico a uno dei suoi dipendenti di averne cura; e se esce a far visita5 manda innanzi chi avvisi che egli viene, e non permette che altri entri da lui mentre si unge o si lava o mangia. E perfino se deve pagare il conto a qualcuno ordina al servo di scorrere il pallottoliere6, e, fatta la somma, di fargli firmare la cifra7; e carteggiando non scrive8: Mi faresti cosa grata; ma: Voglio che si faccia, e Ho mandato da te a prendere, e, Non si faccia altrimenti, e Al piú presto.

  1. Traduco genericamente «superbia»; una superbia però che è anche orgoglio, alterigia, sicumera, e che conserva molto delle linee tracciate da Aristotele.
  2. Forse, meglio, e che «s’incontreranno» che è piú letterale; oppure «parleranno». Il verbo [testo greco] ricorre frequentemente in Teofrasto col significato del convenire in latino; e il sostantivo [testo greco] significa in Teofrasto consuetudo. Nota poi che il superbo fa tutto passeggiando, senza neppur ricevere in casa.

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