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teofrasto |
19.
LA SPIACEVOLEZZA
La spiacevolezza1, per definirla, è un modo di trattare che procura molestia senza danno, e lo sgarbato è cotal uomo che entrato da chi si è addormentato da poco lo sveglia per parlargli; e trattiene quelli che sono già sul punto di salpare; e quei che vanno da lui li prega di attenderlo finché non abbia fatto la sua passeggiata. E preso il figliuolo di braccio alla balia lo imbocca da sé con cibo masticato2, e lo bamboleggia baciucchiandolo e chiamandolo bricconcello del papà3; e mentre mangia racconta che si è purgato di sotto e di sopra con un infuso di elléboro4, e che la bile de’ suoi escrementi era più nera del brodo che è in tavola. Ed è anche capace di dimandare in presenza dei servi: Dimmi, mammina, quando avevi i dolori e mi partorivi che giorno fu per te?; e risponde per lei che fu un bel giorno, e che le due cose, dolori e parto, non è facile che le intenda l’uomo che non le soffre. E dice che da lui c’è acqua fresca di cisterna; e che l’orto ha molti e teneri ortaggi; che il cuoco è bravo in preparare i cibi; che la sua casa è un albergo, e difatti è sempre piena; che i suoi amici sono il doglio forato, giacché per quanto egli li abbeveri5 non riesce a saziarli. E se riceve qualcuno mostra al commensale il suo parassito, come sa grasso; e se invita a bere, dice che è bell’e pronto6 quel che sollazzerà i presenti, e che se lo desiderano il paggio andrà súbito7 a prenderla dal ruffiano, affinché tutti possiamo sentirla sonare il flauto e godercela8.
- ↑ È un carattere affine all’altro della malacreanza che è il decimoquinto, e converrebbe rileggere anche l’altro. Il nostro è veramente un antipatico che fa e dice cose spiacevoli e non sa tenere a
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