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310 amore nell'arte

Vi furono in tutti i tempi delle donne che sacrificarono la loro fama alla bellezza disgiunta dal genio — nessuna che la sacrificasse al genio disgiunto dalla bellezza. La donna, questa quintessenza di polvere la più perfetta tra le opere della creazione, non nasconde spesso sotto la maschera irritabile del pudore che le traccie più delicate della sensualità. Nelle passioni di amore, l’uomo è quasi sempre guidato nella sua scelta dalla virtù, la donna non lo è mai che dall’avvenenza. Nessuna di loro ha confortato del suo affetto di amante la vita di qualche grande sventurato: una tomba recente, — la tomba dell’infelice Leopardi, — accusa in faccia all’umanità l’egoismo sensuale della donna.

Bouvard si avvide troppo presto che egli non poteva sperare dell’amore, e conobbe ad un tempo che questo bisogno si era talmente inviscerato nella sua natura, che non avrebbe potuto attutirlo che colla morte. Sdegnato di quella vita apata e clamorosa ove tutto si tributava all’apparenza, pensò che la solitudine lo avrebbe collocato in maggiore armonia con sè stesso, pensò che aveva ancora qualche cosa ad amare, le sue memorie. Egli era quasi ricco: diede un addio alla vita pubblica, partì inavvertito e venne pellegrinando alle sue montagne. Ma quivi pure gli erano riserbate delle disillusioni inattese: tutto era mutato nel campestre teatro della sua infanzia; le nevi disciolte avevano fatto scoscendere qua e là gran parte di quelle rupi; i montanari avevano recisa una foresta prediletta di pini dove veniva a riposarsi nei giorni canicolari dell’agosto, poche pietre rimanevano della sua capanna ove le lucertole verdi guizzavano ai raggi del sole, — o come venne alla tomba del suo amico, trovò che il terreno smosso e inumidito dalle acque, era tutto fiorilo di quei ciclamini vermigli che crescono sulle montagne, e ne raccolse alcuni che