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266 | amore nell'arte |
vedersi dell’inganno. La loro vita rimaneva così come moltiplicata, e la loro natura porgeva ad essi il privilegio di sensazioni sempre rinnovate e sempre recenti.
Spesso avveniva che una di loro gli dicesse:
— Amor mio, io non ti riconosco più questa sera, tu mi sei tutto mutato: è forse ciò che tu mi promettevi ieri l’altro? un contegno più delicato, più rispettoso, più calmo?... ecco le tue promesse, ecco i tuoi giuramenti svaniti...
— Non mi badare, o fanciulla, le mie preoccupazioni del giorno sono sì gravi che io ho tutto dimenticato, e poi il mio amore è sì veemente, sì imperioso, sì cieco... ma tu che lo disconosci, oh! tu mi ami sì poco...
Certo quella mente immaginosa di Shakespeare, nell’ideare la sua commedia degli equivoci, non avrebbe potuto creare delle combinazioni più singolari e più ardite. Ma la vita dei due giovani era predestinata ad un fine prematuro e inatteso. Luciano cadde colpito da una palla austriaca nella giornata di San Martino: Giulio, che gli sopravvisse, divenne malinconico e pensieroso, sentì che gli era venuta a mancare come una metà di sè stesso, abbandonò la carriera militare, ed essendosi ritirato a vivere in una piccola casa di campagna sul Canavese, vi morì di patéma un anno dopo.
Alcuni mesi prima della sua morte io mi recai a visitarlo, e mi trattenni alcuni giorni presso di lui. Lo trovai infermo e prostrato, affetto da quell’etisia del cuore che precede nelle nature soffrenti e sensibili, l’etisia fisica; ma la sua anima aveva acquistata tuttavia una potente affettività, una forza di astrazione straordinaria. Egli mi assicurava che era felice, che aveva ogni giorno dei lunghi ed affettuosi colloquii con suo fratello, che egli era presente ad ogni istante, che in quelle sei ore che egli trascorreva ogni giorno rinchiuso nella sua ca-