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SUPPLIMENTO AL LIBRO QUINTO 257

ferma veduto Druso di Germanico; e fu un giovane di quella taglia, il quale certi liberti di Cesare, quasi riconosciuto, seguitavano ad inganno. Quei Greci correnti alle nuove e a’ miracoli, traevano alla fama di quel nome: trovavano, e lo si credevano, lui di carcere scappato, andare alli eserciti di suo padre per pigliare Egitto e Soria. E già aveva concorso di gioventù e pubblico seguito: allegrezza di tanto e speranza vana del rimanente; quando Poppeo Sabino allora in Macedonia, governante anco l’Acaia, a tale avviso vero o falso, per avanzarsi, a grandissima fretta passa i golfi di Torrone e di Tenne, l’Eubea, isola del mar Egeo, e Pireeo d’Atene, e le coste di Corinto, e quello stretto di terra; e per l’altro mare entrato in Nicopoli, colonia romana, dove finalmente intese, che domandato meglio chi e’fusse, aveva detto: Figliuolo di M. Silano: e che perduti molti seguaci, s’era imbarcato quasi ir volesse in Italia: e tutto scrisse a Tiberio; nè ho trovato di questo caso altra origine o fine.

LI. Nel fine dell’anno, la discordia de’ consoli

    i nobili dicono, si possa anche scrivere nobilmente a suo luogo e tempo da persona giudiciosa, mezzanamente erudita e accurata. Scrivendo a questo modo, e con queste quattro condizioni, non militeranno le tre autorità dal gran riprenditore allegate nella risposta al Caro a carte 23: l’una del Bembo, che noi Fiorentini per troppa copia di questa nostra lingua non la stimiamo, e ce n’andiamo col popol senza regole osservare; e l’altra di Giulio Cammillo, che niega doversi partire scrivendo dalle voci del Petrarca e del Boccaccio, quando la lingua salì, quasi Sole al mezzogiorno, al suo più alto punto di perfezione; e lascia Dante; (o che giudizio!) la terza d’Aristide, che nelle Dicerie non ammette le parole del parlar semplice, ma quelle de’ libri.