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490 | libro quarto |
rammenta ancora l’imagine della scherzosa Talia in una commedia che fu, credo, la prima stampata in dialetto piemontese; il conte Pioletto, e il cui autore fu il marchese Carlo Giambatista Tana d’Entraque.
Verso la meta del secolo scorso, insieme con un acceso desiderio d’investigare le antichità e le storie della patria nostra, nacque vaghezza d’ingentilire il vecchio nostro dialetto, di ridurne la grammatica a certe regole, di purgarne il vocabolario da certe foresterie che in un dialetto vivente trovano facile e continuo accesso; di valersene insomma e in prosa e in versi, onde emulare, se fosse possibile, se non il dialetto veneziano e il siculo, almeno gli altri meno privilegiati; il genovese, per esempio, nel quale s’ ha un intero volume di commedie stampate. Il conte Pioletto è una prova di questa novella tendenza. Un nuovo gentiluomo, che si chiama conte perchè ha comprato due punti di giurisdizione d’un feudo, vecchio, spolmonato, spiantato, vorrebbe ristorarsi, sposando una giovanetta, creduta figlia d’un vignaiuolo ed assai agiata de’ beni di fortuna. I versi di questa commedia sono molto volgari; e non hanno che fare con quelli del cav. Borelli, del conte Orsini, di Silvio Balbis, d’Odoardo Calvo, d’Emiliano Aprati, di Angelo Brofferio; anzi neppure coi Toni,4 d’un vecchio marchese di San Marzano, avo del celebre ministro che mancò di vita