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terra con una verde fronda sotto al capo, mentre i monaci colla fronte sul pavimento recitavano i sette salmi penitenziali, si sentì tale una stretta al cuore che, ritiratosi nella cappella di Sta Maria Egiziaca, sfogò con Dio la piena de’ prorompenti affetti, orando; e sul fine della sua preghiera: Frate Palemone, sclamò, or che siete come io credo, alla presenza di Dio, ottenetemi grazia di conoscere quello ch’egli vuole ch’io faccia. Appena dette queste parole gli parve di sentir una voce che internamente gli parlasse così: Prendi il mio posto e il mio nome e finisci i tuoi giorni nel luogo ove tu sei.
E così fu. Il conte di Santena diventò fra Palemone. All’eroismo del suo cuore parean lievi gli eccessi d’austerità di quell’ordine religioso, sicchè malato di malattia mortale supplicava l’abate, non gli consentisse il trattamento meno rigida che la regola ammette in tali casi. In luglio del 1692 fece la sua professione: il 9 novembre 1694, dopo lunghi patimenti sostenuti con serena letizia, prosteso, secondo l’usanza, sopra una croce di cenere coperta di poca paglia sulla nuda terra, rendette lo spirito a Dio nelle mani dell’abate di Rancé in presenza di tutti i monaci.3
Dopo quella grande ed austera figura di Palemone, che in quell’età non pigmea, segnalata per grandi errori e grandi conversioni, fu degno di far corteggio al fondator della Trappa, il palazzo Tana ci
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