Pagina:Storia di torino v2 cibrario 1846.djvu/411


libro terzo, capo sesto 407

Palatina (le torri) lungo il muro della città, e così sulla linea del secondo cortile del palazzo vecchio; comprendendo per tal guisa case di varie forme ed altezze, varii cortili, orti e giardini.

Nel 1497 si costrusse, appoggiandola al muro istesso della citta, una galleria che dal castello desse comunicazione al palazzo del vescovo; questa galleria ebbe volgarmente il nome di gabinetti.1

Il palazzo del vescovo era certamente il più ampio ed orrevole che fosse in Torino; e perciò i principi d’Acaia ed i principi di Savoia, quando venivano a Torino, solevano eleggerlo di preferenza a loro stanza,- sebbene molte volte fermassero anche dimora nel castello od in qualche pubblico albergo.

Poichè Torino cadde in poter de’ Francesi nel 1536, i vicerè del Piemonte, monsignor di Langè, monsignor d’Annebaud, il principe di Melfi, il Brissac, ed in ultimo il Bourdillon (che tanto penò a spiccarsi da questi paesi, e non li abbandonò se non quando gli ordini reiterati ed inutili de’ suoi re si cambiarono in minacce), abitarono il palazzo vescovile, ed appunto la parte orientale del medesimo, mentre nella casa presso a San Giovanni, che era più elevata delle altre, stavano i suffraganei degli arcivescovi, avendovi abitato monsignor Casate, il vescovo di Ventimiglia, il vescovo di Nicomedia ed anche l’arcivescovo Cesare Cibo. Il Brissac si die anzi a murar una fabbrica verso l’oriente che si