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334 libro quinto

vercellese, e mentre se ne aspettava l’arrivo, ne facea le veci Antonio di Romagnano.8 È noto che in tulli i comuni, quando la parte popolare ebbe il sopravvento, non mancò mai tra i grandi chi cor­resse a farvisi aggregare, volgendosi dove spirava l’aura del potere.

Quando sul finir del secolo xiv, e molto più nel xv, cominciarono a radunarsi insieme con qualche frequenza i deputati, o come allora si dicevano ambasciadori de’ nobili e de’ comuni; quando poco dopo a compiere la rappresentazione nazionale s’aggiun­sero i deputati del clero, scemò notevolmente l’im­portanza e la considerazione delle società popolari che insensibilmente scomparvero.

L’usanza di radunare assemblee generali di depu­tati dei comuni e dei nobili non era frequente nel secolo xiii, ma pur ne troviamo qualche esempio; ed uno notissimo, e da noi già accennato, si è il parlamento de’ castellani, dei nobili e degli ambasciadori dei comuni del Piemonte, convocato addì 24 di maggio del 1286 ne’ prati di Giaveno presso al Sangone per udir lettura di due lettere, una di Lu­dovico Sire di Vaud, che narrava d’aver ceduto ogni sua ragione sul Piemonte ad Amedeo v, suo fra­tello, l’altra di Guja di Borgogna, madre e tulrice dei figliuoli di Tommaso iii, che significava al popolo piemontese d’aver ceduto a tempo l’amministrazione di questo Stato al medesimo principe.