Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capo secondo | 19 |
ed in una o due generazioni, ringentiliti, altro più esser non possono e non vogliono che Italiani. Le dodici città etrusche diedero il primo esempio d’una confederazione perenne, che non pregiudicava per nulla l’indipendenza di ciascun popolo. Aveano un sistema di monete e di pesi che non si potrebbe desiderar più perfetto.6
Agiata ed elegante era la loro vita domestica. Avean case con portico anteriore od atrio dove stavano i famigli. Sedeano a mensa due volte al giorno, e i loro pasti eran lauti e adoperavano bicchieri d’oro di varie forme. Erano servili a tavola dai proprii figliuoli a guisa de’ paggi del medio evo. Portavano ricchi e lunghi abiti ricamati a fiori. La toga di porpora, le corone, le insegne regie, la sedia curule, i fasci, le scuri, i littori erano usanze etrusche imitate poi dai Romani, che dallo stesso fonte attinsero sacerdozi, riti, anfiteatri e giochi, e soprattutto la vanissima, ma gravissima allora superstizion degli auguri, la quale tuttavia palesa uno studio profondo delle cose naturali e massime dei fenomeni del fulmine.7
L’altezza d’animo, la gagliardia di volontà, rigoglio delle stirpi adolescenti, avean dato più anticamente ai Tirreni l’ imperio d’Italia e de’ suoi mari; più tardi, contemperati dal sorriso di questo cielo allo squisito sentimento del bello, ammaestrati dai Pelasgi, e forse più dal commercio intórno alle condizioni delle arti